Dopo ben nove anni di lontananza, sono tornata nel mio Sud-Est asiatico per una ragione ben precisa: sapevo mi avrebbe curata. Lo ha fatto nel lontano 2010 quando sono partita da sola per la Cambogia. Mia mamma era morta da tre anni, e ancora mi mancava la terra sotto i piedi. Il sorriso khmer dei cambogiani è stata una medicina per me. Da lì sono tornata nel Sud-Est per anni. Ogni Paese ha la sua identità, ma c’è una gentilezza, una leggerezza di fondo che non si può spiegare, si può solo vivere.
Anche quest’anno, andare in Indonesia mi ha curato. Avevo bisogno di mettere al centro le MIE emozioni, perché ho il difetto di pensare al bene di tutti, ma non al mio. E viaggiare da sola è il mio modo per ritrovarmi.
Per molto tempo viaggiare è stata una fuga. Andavo a migliaia di chilometri da casa, pensando la mia vita vera fosse solo lì. Il resto dei 365 giorni era l’infinita attesa di partire. Poi ho capito che la vita è dove sono, ogni giorno. In viaggio o a Milano dove vedevo solo problemi famigliari, soldi che non bastano mai, amori che non andavano. Ma se trovi il modo giusto di accettare e affrontare quello che non va, cambia tutto. Il segreto sta nel punto di vista.
Anche quest’anno in Indonesia è stata una fuga, ma diversa. Non fuggivo dalla mia vita, ma dalla mia testa che non si ferma mai. Avevo bisogno della leggerezza e della spiritualità di una parte di mondo che adoro. Volevo staccare, resettare tutto, allontanarmi dall’Occidente, dalle abitudini e dai pensieri malsani.
In pandemia sono stata a tanto così dalla depressione. Non ci sono caduta ma da allora soffro di insonnia, ho mille ansie mai avute prima, un “meraviglioso” terrore del futuro e un pessimismo cosmico. Ho provato a metterci mano, ma i demoni fanno paura. Finché mi sono stancata di vivere male, e questa estate ho cominciato un lungo lavoro su me stessa. In tutto questo il buddhismo zen, inteso come filosofia di vita, mi aiuta tantissimo. E l’ultimo libro di Gianluca Gotto è per me un tesoro prezioso.
Sono partita per Bali leggera. Tre magliette, tre mutande, un costume. Leggera di zaino e di testa, perché liberarmi di quella che per me era la normalità mi ha dato lo spazio per godermi tutto il resto. Mi sarò truccata una volta. C’eravamo solo io e l’Indonesia. Ed è qui che il viaggio aiuta. Non a fuggire, ma a imparare dal diverso. Vedere con altri occhi, uscire dalle proprie dinamiche.
La cosa più bella per me è stata la gente. La dolcezza, la cortesia, i sorrisi genuini mi hanno riempito il cuore. La loro calma, la tranquillità anche in mezzo al delirio di turisti a Bali mi ha messo la pace nel cuore.
A Gili Air poi ho raggiunto l’estasi. In una minuscola isoletta senza auto non c’è nulla da fare se non vita di mare. E non avere programmi, l’ansia di andare-fare-vedere, è liberatorio. Il mio fisico si è abbandonato alla quiete dell’isola, sembravo un bradipo, i miei movimenti erano rallentati. Mettevo la testa in qualsiasi cosa facessi, quando normalmente è altrove fra le scimmie urlatrici. Il mio viaggio di un mese mi è sembrato durarne tre, perché mi gustavo ogni minuto. Pensavo solo a quell’esatto momento, qui e ora, e per una che ha il terrore del futuro, vi assicuro che è la svolta.
Nessuno smartphone da miliardi di dollari, nessun vestito che mi fa fighissima, nessun bene materiale potrà mai darmi la felicità che mi dà un viaggio. Nessun soldo è speso meglio che per comprare un biglietto aereo.
Uno dei ricordi più felici che ho del mio viaggio in Indonesia è a Sidemen. Stavo nella veranda della mia stanzetta da 15 euro a notte in una casa tradizionale balinese, con una birretta, il mio amato libro e la “musica” della fontana nel giardino.
Poi ovviamente tornare a Milano significa ritrovarsi gli F24, le solite dinamiche lavorative, famigliari, eccetera eccetera eccetera. Ma il viaggio non è finito in Indonesia. Ho portato a casa con me un esempio meraviglioso di calma, gentilezza, un modo diverso di affrontare la vita. La chiamo “la mia balinesità”, che mi ha fatto recuperare gli arretrati di tre anni di sonno. Tutto questo fa parte del grande lavoro che sto facendo su me stessa. Poi ovviamente barcollo, cado e mi rialzo, piango e mi asciugo le lacrime. Curare un disagio che dura da anni non è una passeggiata. Ma non mollo. E sono infinitamente grata a tutte quelle persone che, in quell’angolo di mondo, inconsapevolmente, mi hanno fatto fare un passo in avanti nella mia ricerca della serenità.
Ciao sono Claudia, giornalista milanese non imbruttita, vivo di viaggi in solitaria, scatto foto compulsivamente e divoro libri
E’ un piacere leggerti. Ti ho scoperta da poco, grazie al tuo podcast (sono alla terza puntata 😉
Non è da tutti mettere a nudo le proprie debolezze, senza cadere nel vittimismo. Io sono una lettrice onnivora e, leggendoti, spero di trovare quella spinta al viaggio che mi è sempre mancata, ma di cui ho molto bisogno. Coraggio, mi verrebbe da dire, si parte!
P.S. L’unico posto del Sud est asiatico che ho visitato è stata la Thailandia (Bangkok e Kho Chang nello specifico) e purtroppo mi ha un po’ deluso, ma mi rendo conto – a distanza di quasi 10 anni da quel viaggio – che avevo completamente sbagliato approccio.
Grazie Bianca, davvero <3
Grazie anche per seguire il podcast, mi diverte un sacco farlo!
Questo articolo l'ho scritto sia perché è terapeutico per me, sia perché spero possa servire a chi legge. Ogni tanto con questa vita sui social sembra tutte siano più felici e forti noi, quando invece siamo tutte fragili. È questa la normalità, non la perfezione.
Per la Thailandia, è molto turistica e può fare quell'effetto. Però secondo me se ci fermiamo alle cose che non vanno, ci perdiamo tutto il resto. Poi ovvio, ci sono posti che sono più sulle nostre corde e altri meno, ma dipende molto anche dagli occhi con cui li guardi.
La spinta al viaggio ce l'hai, altrimenti non mi leggeresti 😉 Devi solo smettere di pensarci sopra, e passare all'azione.