Mi capita spesso di fare due chiacchiere con qualcuno e chiedere “allora come va?”, e di sentirmi rispondere “devo aspettare agosto per partire”. Il tutto con lo sguardo di chi entra ed esce da una miniera ogni giorno, passando 12 ore sotto terra nel buio più totale. E mi dispiace.
Mi dispiace perché ho di fronte una persona infelice, e mi dispiace perché in quegli occhi liquidi rivedo me stessa anni fa, dodici per l’esattezza, quando un “piacevolissimo” lutto mi ha fatto a brandelli dall’oggi al domani. In quel periodo e per anni a seguire, la mia vita mi ha fatto talmente schifo che pensavo di poter essere felice solo in viaggio e solo altrove, a migliaia di chilometri da casa. L’Asia era il mio faro nella tempesta. Era il modo più malsano di viaggiare, perché non lo facevo per passione, per arricchirmi ma solo per fuggire.
Essendo una normo assunta e normo stipendiata, avevo circa 30 giorni di ferie l’anno, gli unici in cui mi reputavo contenta di stare al mondo. Gli altri 335 li passavo in uno stato non di agonia ma di terribile inerzia. Aspettavo il prossimo volo che mi avrebbe portato nel paradiso terrestre dove tutto andava bene. Poi per fortuna ho aperto gli occhi.
Non è stata certo una cosa immediata. Ci sono voluti anni di duro lavoro su me stessa. Ho letto qualsiasi cosa potesse aiutarmi, da Osho (questo libro in primis) alla filosofia hawaiana del perdono. Ho analizzato tutto, soprattutto me stessa, cercando l’illuminazione nelle parole altrui. E tutto questo non l’ho fatto in viaggio, l’ho fatto ogni singolo giorno. Perché la vita vera è dove viviamo, dove facciamo colazione tutte le mattine, dove andiamo al cinema coi soliti amici, dove lavoriamo 8 ore al giorno, non da un’altra parte.
Con questo non voglio dire che tutti i viaggiatori fuggano da una vita insulsa, anzi! Avere la fregola di andare ovunque, non voler mai disfare la valigia va benissimo se nasce dalla curiosità, dall’entusiasmo, dalla sete di conoscere noi stessi, il mondo e chi incrocia il nostro cammino. Se invece è un modo per non affrontare i problemi allora non va bene, perché ci seguiranno sempre e ovunque se non li risolviamo.
Io ho imparato, e sto imparando tutt’ora perché gli scivoloni non si contano, che la vita non è una passeggiata di salute. È fatta di momenti in cui tocchi il cielo con un dito e altri in cui una voragine ti inghiotte. Bisogna accettarla in tutti i suoi contrasti, solo così la facciamo nostra. Semplice a dirsi, tremendamente difficile a farsi. E ho imparato a volermi bene, a concedermi quello che mi piace, a pensare che anche se ho vissuto una grande tragedia, per me in serbo non c’è solo dolore ma anche felicità, perché me la merito.
Spero di non essere stata troppo banale, ma ho voluto condividere questo pensiero sperando di essere utile. È cosa buona e giusta ricordare sempre che al mondo non siamo tutte Wonder Woman.
Ciao sono Claudia, giornalista milanese non imbruttita, vivo di viaggi in solitaria, scatto foto compulsivamente e divoro libri
Che belle parole e soprattutto vere ❤️
Grazie❤ Fila tutto liscio a leggere, peccato che è stato praticamente un parto decennale. Ma mente e cuore hanno i loro tempi, l’importante è arrivare.
“anche se ho vissuto una grande tragedia, per me in serbo non c’è solo dolore ma anche felicità”
Con una differenza: il dolore arriva da solo, mentre per la felicità bisogna darsi un gran da fare
Mannaggia se hai ragione. Mettiamola così, quando c’è te la godi ancora di più… 😊