Henri Cartier-Bresson: Milano ospita le foto sulla Cina

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Sono andata Al Mudec Photo di Milano per vedere gli imperdibili reportage di Henri Cartier-Bresson: in mostra una Cina ormai sparita anni ’40 e ’50

Sono andata fino a Venezia appositamente per vedere una mostra di Henri Cartier-Bresson, figurati se me lo perdo quando arriva nella mia città, al Mudec Photo di Milano! E per di più per la prima volta con una personale dedicata a reportage cinesi, a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, prima e dopo l’ascesa di Mao. Parliamo di oltre 100 stampe originali, rigorosamente in bianco e nero, insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere. Sono stati questi progetti a consacrarlo come pioniere del fotogiornalismo. Pronte per saperne di più di questa mostra imperdibile?

Henri Cartier Bresson Milano
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

La mostra

La mostra si intitola “Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49 | 1958”. Iniziata lo scorso 18 febbraio, termina il 3 luglio.
Definito “Occhio del secolo”, con le sue immagini racconta due momenti-chiave della storia cinese: la caduta del governo nazionalista (Kuomintang) nel 1948-1949, e il “Grande balzo in avanti” di Mao nel 1958. Un momento importante nella storia del fotogiornalismo, in cui Cartier-Bresson riesce a mettere a fuoco i temi caldi del cambiamento in atto. Ma soprattutto, mostra anche aspetti nascosti dal regime come lo sfruttamento della forza lavoro, le milizie onnipresenti, la povertà. La capacità di cogliere l’attimo lo rende il maestro assoluto del cosiddetto “istante decisivo” nella fotografia. E l’uso del bianco e nero gli permette di congelare la realtà, concentrandosi su quell’esatto centesimo di secondo.

Shampo e taglio di capelli a Shanghai - Henri Cartier Bresson Milano
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Il periodo 1948-1949

È stata la rivista “Life” a commissionargli un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” nel novembre del 1948, prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Cartier-Bresson era già in Asia, in Birmania insieme alla moglie. Avrebbe dovuto fermarsi in Cina due settimane ma resta dieci mesi. Documenta la caduta di Nanchino, e a un certo punto rimane bloccato quattro mesi a Shanghai sotto il controllo comunista. Riesce a lasciare il Paese andando a Hong Kong pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nell’ottobre del 1949.
Può comunque scattare in totale libertà, raccontando la vita quotidiana cinese fra tai-chi la mattina, piccole botteghe, monasteri, uccellini in gabbia. Ma anche l’instaurazione del nuovo regime, e quello che comporta: rifugiati, mendicanti, miseria. Il suo lavoro riscuote grande successo non solo sulle pagine di “Life” ma anche di “Paris Match” e altre riviste internazionali.

Reclute nella Città Proibita a Pechino - Henri Cartier Bresson Milano
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

A partire dagli anni ’50, Cartier-Bresson diventa uno dei cardini nel rinnovamento della fotografia. E il suo lungo soggiorno coatto segna una svolta nel fotogiornalismo. Il reportage cinese infatti propone un nuovo stile, meno ancorato agli eventi ma più poetico e distaccato, attento sia ai soggetti sia all’equilibrio della composizione. Delle 5.000 immagini, ancora oggi molte sono fra le più famose al mondo. Un esempio è quella che vedete qui sotto, una coda infinita di persone che tentano di scambiare banconote inflazionate con l’oro. Pensate, questo scatto fortuito numero 37 di un rullino da 36 è entrato nella storia della fotografia.
Teniamo presente poi che solo un anno e mezzo prima, Cartier-Bresson aveva fondato a New York l’agenzia Magnum Photos, insieme ad altri mostri sacri. Già di per sé un evento di importanza epocale nel settore. Infatti oltre al lavoro commissionato da “Life”, in Cina si dedica anche a progetti indipendenti da vendere ad altre testate.

Shanghai, fila per comprare l'oro - Henri Cartier Bresson Milano
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Quando vedo mostre di fotografi del passato, davvero mi emoziono per la loro bravura. Ai tempi non c’erano macchine digitali e Photoshop. Non potevi fare errori, la competenza tecnica doveva essere più che ai massimi livelli. E l’occhio beh, quello non te lo regala nessuno. O ce l’hai o non ce l’hai. Ed è qui che spicca il genio.
Cartier-Bresson invia i rullini per posta a Magnum, accompagnati da una descrizione scritta a macchina di ogni rullino, a volte di ogni scatto o sequenza. L’agenzia fa una selezione e via, le foto vengono pubblicate sulle riviste. Bloccato in Cina, per sei mesi Cartier-Bresson non riesce a vederle stampate.
Lo ringrazio (e lo invidio) per averci raccontato questa Cina tradizionale che ormai non esiste più. Quella prima di Mao, prima della Rivoluzione Culturale che vuole annientare qualsiasi ricordo, prima della globalizzazione.

Manifesti della propaganda
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Il “Grande balzo in avanti” del 1958

Al decimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese, Cartier-Bresson torna in Cina da giugno a ottobre del 1958. In questo secondo reportage il tono cambia totalmente. Infatti avrà zero libertà di azione, ma la compagnia obbligatoria di una guida per visitare luoghi selezionati. Deve infatti raccontare al mondo il “Grande balzo in avanti” e gli esiti della rivoluzione. (Ricordiamo anche che siamo in piena “guerra fredda”.) Macina migliaia di chilometri fra complessi siderurgici, dighe in costruzione, miniere, pozzi petroliferi, paesi rurali modello.
Le foto in mostra sono molte meno rispetto a quelle del periodo 1948-49, e lo stacco è netto. Ma il nostro Cartier-Bresson non è un tipo docile. Nonostante il paraocchi imposti dal regime riesce a mostrare anche il rovescio della medaglia: lo sfruttamento della forza lavoro in mancanza di macchinari, il controllo militare, il fallimento dell’agricoltura, la propaganda ovunque, l’industrializzazione forzata.

Studenti costruiscono una piscina -Henri Cartier Bresson Milano
© Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

“Per me la fotografia è il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un evento e di una precisa organizzazione di forme che danno a quell’evento la sua giusta espressione.”

INFO UTILI

Dove
Museo delle Culture di Milano
Via Tortona 56, Milano (la metro più vicina è la verde M2, fermate Sant’Agostino e Porta Genova; altri mezzi sono gli autobus 90/91 e 68, tram 14)

Orari (18 febbraio – 3 luglio)
lunedì 14:30 – 19:30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9:30 – 19:30
giovedì e sabato 9:30 – 22:30

Ingresso
Intero 12 euro, ridotto 8/10 euro (per le altre riduzioni guardate sul sito)

Informazioni e prenotazioni: ticket24ore.it

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